L’insight NON E’ un report di Facebook
Allora, sarò un po’ brutale: se per voi INSIGHTS significa un insieme di statistiche che riguardano la vostra pagina Facebook (età , sesso, area geografica dei vostri fan, ora del giorno in cui è meglio postare etc etc), avete due opzioni: saltare a pie’ pari questo articolo perché non è quello che stavate cercando, o dedicare quattro minuti in più della vostra ricerca alla comprensione del vero significato di consumer insight, uno dei fondamentali di quella affascinante disciplina che è il marketing.
Si parlava ultimamente di bisogni dei consumatori.
Ora In-sight, letteralmente (ma non precisamente) visione dall’interno, significa “comprensione profonda di un bisogno”. Possedere, anche avvicinarsi ad intuire, un insight di un potenziale cliente o acquirente è come procurarsi la chiave per entrare nella sua stanza privata, per leggere i suoi diari intimi, per vedere cosa pensa, cosa sente, in modo da potergli offrire qualcosa che accoglierà con piacere e che lo farà sentire meglio.
Nello studio degli insight bisognerebbe guardarsi da due eccessi: fermarsi letteralmente e superficialmente a ciò che viene dichiarato dalle persone, il che spesso nasconde molto di più, cela qualcosa di latente e ancora non articolato, ma potente (articolarlo in modo illuminante dovrebbe essere appunto il nostro compito), oppure pretendere di sapere già tutto su quegli aspetti e pretendere di insegnare al consumatore i suoi stessi problemi, passando immediatamente all’attacco e vendendogli il nostro prodotto miracoloso.
In altre parole: quasi mai le persone ti diranno con precisione di quali soluzioni esattamente hanno bisogno, ma ameranno parlare di sè e delle proprie passioni, per cui bisogna armarsi di strumenti specifici e molta umiltà per calarsi nel loro mondo.
Come facciamo a procurarci questa mitica chiave? Attraverso l’ascolto delle conversazioni nel Web ma anche interviste personali, che non sempre risultano facili. Ultimamente, per esempio, ho assistito ad alcune interviste il cui argomento era la manutenzione e la riparazione della casa fai-da-te. Avete presente i bambini che chiedono tre, quattro, cinque volte di seguito “perché”. Quello era il nostro compito. Ora, la faccia del signore che non riusciva ad andare oltre l’aspetto meramente funzionale delle sue azioni era esasperata. “Come mi fa sentire? Perché lo faccio? Ma vi ho appena detto perché lo faccio, per tenere le cose a posto, in ordine, in funzione”.
Invece, la faccia del ragazzo che raccontava della casa appena presa con la sua ragazza, di come riorganizzare un ambiente fosse un segno della sua…virilità (si è scusato più volte, gli sembrava un termine non conveniente da usare con due signore molto emancipate), di come questo lo avesse fatto sentire responsabile e progettuale, quella era tutta un’altra storia, gli piaceva moltissimo indugiare sui perché e cercare le parole giuste per spiegarceli: quando vedete due occhi che si illuminano così lo sapete, insomma: state camminando in quel magico territorio degli insight. Altro che statistiche di una pagina Facebook.
Esistono due macrocategorie di insight: quelli relativi al prodotto e quelli emotivi.
I primi sono utili per orientare lo sviluppo delle funzionalità di un prodotto (alcune, che noi ritenevamo importanti, in realtà possono risultare inutili, e viceversa altre che non sospettavamo potrebbero essere importantissime) . Insight di prodotto sono quelli che rendono visibile, immediatamente percepibile e significativa una performance (l’eliminazione di germi in luoghi quotidiani insospettabili, il sapore di un piatto gustato in compagnia)
L’insight emotivo invece è particolarmente importante per la comunicazione, perché si concentra non tanto su quello che un prodotto fa, su come risolve un problema, ma su come questo (il problema o la sua soluzione) ci fa sentire. Nel primo caso si fa leva sulle negative e su come NON vorremmo mai sentirci (la suocera a pranzo e una vecchia macchia che appare sulla tovaglia…) , nel secondo su come ci piace sentirci (un’auto e un senso di libertà , di autostima, e così via).
Quando un insight è vero e rilevante, produce la famosa “reazione-aha”, una reazione di identificazione, una scintilla intuitiva che fa dire “E’ proprio vero! Me ne rendo conto, mi ci riconosco, sono proprio io”.
E c’è un’importante conseguenza di questo: il convincimento ci spinge ad agire, a prendere una decisione. “Sì, mi serve, lo voglio.”
Passando dalla teoria alla pratica, se vi mostro questo spot, secondo voi qual è l’insight? (Alcuni brand scelgono un lato particolare della nostra storia, e lo portano avanti con varie declinazioni anche per decenni…)
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