I più comuni pregiudizi sul Marketing – 3. Sono tutti uguali
Qui (su TTV) proviamo a comunicare la passione per un lavoro troppo spesso demonizzato e rovinato da cattive interpretazioni e cattive pratiche. Il Marketig di cui parliamo qui serve a creare valore, per le persone e per le comunità. Serve per esempio a raccontare la storia delle persone che sono dietro ad un’idea, ad un prodotto, ad un progetto, ad un’impresa. Serve a condividere.
Vi capita mai di imbattervi negli haters del marketing e della pubblicità? Molto spesso, vero? Proseguiamo una piccola rassegna di miti da sfatare.
Nelle mie osservazioni quotidiane del web, quando si parla di marketing mi rendo conto che il lettore medio non ha la minima idea del valore sociale ed economico di questa attività, che meglio andrebbe definita disciplina, e come accade in molti altri ambiti, emette sentenze di condanna senza sapere di cosa si sta veramente parlando. All’estremo opposto ci sono gli entusiasti del marketing, che spesso nascondono la loro preparazione improvvisata dietro mode e paroloni inglesi. Come se ne esce? Leggendo libri, non giusto due post di un blog, e seguendo i propri interessi profondi, non le mode.
“Tanto sono tutti uguali”
Sicuri? Conoscete il lavoro di un laboratorio di ricerca e sviluppo, per esempio, di un detersivo? Conoscete i test a cui sono sottoposti gli ingredienti di un croissant prima di arrivare nella vostre case? Ogni azienda paga e motiva cervelli eccellenti perché trovino soluzioni, con gli ingredienti e le tecnologie a disposizione e nuove tecniche tutte da inventare, per avere risultati migliori a costi minori. Questo ha un valore per la società. Il processo di innovazione non può fermarsi mai: ogni anno centinaia, migliaia di brevetti vengono depositati dalle aziende, e senza questa forza propulsiva data dall’industria, saremmo fermi all’ottocento.
Se qualcuno afferma di aver sviluppato un prodotto migliore degli altri, il giudizio sta di certo a chi lo userà: i consumatori hanno ormai accesso immediato alle review dei loro “colleghi” e molto difficilmente le si può ingannare con false promesse. La sfida piuttosto è quella di selezionare le fonti più attendibili di informazione sui prodotti, e qui il marketing deve aprirsi alla collaborazione e alla trasparenza.
Vi è capitato di imbattervi in siti che presentano come lo scoop del secolo il fatto che alcune marche retail (per es. Coop, Conad..) siano praticamente identiche a famosi prodotti di marca, perché vengono prodotti nello stesso stabilimento?
Certo, alcuni impianti di produzione e ingredientistiche possono essere gli stessi. Ma questo non dice nulla sulle specifiche, sui processi, sugli standard di qualità. Alcuni prodotti sono in effetti ottimi, ma altri sono solo pallide imitazioni, e i motivi ci sono.
C’è poi un altro aspetto da non sottovalutare: non scegliamo solo i prodotti, ma le aziende. Non ci interessa solo cosa producono e come, ma la loro missione e la loro responsabilità sociale. Per questo ci interessano le storie dei loro fondatori, i sogni che hanno saputo realizzare, il modo in cui sono valorizzati i loro dipendenti, il modo in cui interagiscono con le comunità locali e il rispetto dell’ambiente. Davvero tutti i prodotti delle grandi marche sono uguali?
“Ci fanno pagare la loro pubblicità”
Ecco un argomento molto comune, corollario del precedente, e completamente errato da un punto di vista finanziario.
Le grandi compagnie possono permettersi i costi della pubblicità grazie al circolo virtuoso generato dalla loro “massa critica”, ovvero dai grandi volumi di produzione e vendita. In altre parole, reinvestono in pubblicità una parte dei ricavi di queste vendite, che a loro volta sono possibili solo grazie agli sforzi della pubblicità su larga scala, e così via. Il prezzo non è più alto o più basso a seconda della spesa pubblicitaria. In molti casi il prezzo può essere tenuto mediamente più basso proprio grazie alle economie di scala resecpossibili dalla pubblicità. Stabilire poi se praticare una politica di prezzi più alti (premium) o più bassi (value) è una diversa decisione strategica che riguarda un’altra leva di marketing (il prezzo, appunto).
Per pagare migliaia di lavoratori che sostengono le loro famiglie, garantire investimenti in ricerca e innovazione e remunerare adeguatamente gli investitori, le compagnie devono tenere in buona salute questo circolo economico, in cui la pubblicità gioca un ruolo fondamentale.
Capite quanta ignoranza c’è dentro un’affermazione del genere, e dentro la conclusione per cui comprare piccolo e artigianale è bene, e grande/industriale è male, solo in base alla presenza o meno della pubblicità?
Conclusioni
La pubblicità e le sue tecniche non sono cattive in sè, ma molte persone non hanno gli strumenti concettuali adeguati per distinguerle. Soprattutto, lo scopo della buona pubblicità oggi non può più essere la mera persuasione: per “vendere qualcosa” l’obiettivo non è più convincerti che io sono il migliore e che ho ragione, ma trovare cosa è importante per te (come da sempre gli ottimi venditori sanno).
L’advertising del terzo millennio non è più centrato sul brand ma sulla persona che ascolta, e questa ascolta solo un attore economico degno e responsabile.
Infine solo un buon insight comunicato con il giusto tono di voce e un’eccellente creatività, potrà far breccia e generare un’autentica emozione ed identificazione. Insomma, un mezzo per scoprire la verità e non per ingannare, per tirare di nuovo in ballo Platone.
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