La storia di un payoff
Dagli archivi di TTV, riprendiamo un post che ci sembra invecchiato bene. L’abbiamo lasciato per qualche anno in una botte di rovere. Poi l’abbiamo assaggiato ed era di nuovo pronto per voi.
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Questo post inizia da quello che di solito si mette alla fine di una pubblicità : il payoff.
Il payoff (o selling line) è quella frase riassuntiva che si definisce come “un insieme memorabile di parole che cattura e incorpora l’essenza di un beneficio (per un prodotto), o più in generale di una singola idea”.
Per un giornalista, il payoff è il titolo con l’occhiello, è insomma il succo della storia.
Per un blogger è il suo header, che deve dire in immagini e parole “chi sono, cosa scrivo, perchè” – per esempio quel fulminante “Meglio un blog oggi che un Prozac domani” (il blog ora è chiuso, peccato): quando l’autrice ha provato a cambiarlo, azzardandosi a spiegare che ormai era entrata in una fase della vita diversa, ha ottenuto una ribellione di massa ed è tornata saggiamente sui suoi passi. Le ho detto che lei (o meglio il suo blog) era diventato un brand: i brand si evolvono e si tengono al passo coi tempi, ma i grandi payoff, quando sono davvero grandi e risuonano profondamente nella gente, restano.
Cosa molto importante, l’idea contenuta in un payoff deve essere “single minded”: unica e semplice. Una singola idea. Se cerco di dire tre cose, non ne rimane nessuna.
Il payoff inoltre deve essere stimolante, deve ispirarci. Come? Agganciandosi alle nostre emozioni, facendole risuonare, vibrare. Anche la frase più creativa e provocatoria non serve a niente, non stimola nè ispira se non racchiude una storia emotivamente interessante, come ci dimostrano le tante pubblicità o le tante notizie che ogni giorno passano inosservate. Dunque ancora una volta, l’importanza delle storie.
Quando racconto delle storie riesco a interessare e a coinvolgere le persone molto più di quando comunico fatti, numeri, o informazioni. Di solito sono storie di difficoltà superate, di sentimenti forti che connettono le persone, di soluzioni creative che hanno fatto una differenza.
Le storie offrono molteplici ganci emotivi a cui ognuno attacca i propri pezzetti di esperienza, e sono questi ganci che le rendono memorabili. Inoltre rappresentano per il nostro cervello una specie di simulatore, per cui chi “riceve” il racconto è tutt’altro che passivo: quando leggiamo un libro ricreiamo nella nostra mente ambienti e situazioni, ci immedesimiamo con i personaggi, ci chiediamo cosa faremmo in quella situazione, e così via. Lo stesso quando un amico o un collega ci racconta un aneddoto particolarmente divertente, significativo o istruttivo: partecipiamo.
Le storie servono anche all’interno delle aziende, e sono parte della loro cultura più duratura. Gli autori di “Made to stick”, tra l’uso di formulazioni strategiche astratte e generali (“il nostro obiettivo e’ offrire un livello insuperabile di servizio al cliente“) e una storia concreta (“un commesso ha riscaldato l’auto della cliente mentre faceva shopping“) raccomandano fortemente quest’ultima, per quanto a un manager abituato a parlare in termini strategici possa sembrare “ridicolo”.
Il motivo è che mentre si può sempre ricavare il significato, la “morale” o la “strategia” insita in una storia concreta, non si puo’ quasi mai fare l’inverso, e quindi una strategia in quanto tale rimarrà lettera morta nella testa di chi ascolta il discorso di fine anno del CEO.
Le storie ancorano un concetto astratto ad una concreta realtà sensoriale, ci insegnano qualcosa dandoci esempi tangibili, meglio ancora se estremi e inusuali. Come si diceva a proposito dell’apprendimento dei bambini. Il nostro cervello funziona ancora così.
La semplicità  e la concretezza del linguaggio rendono le storie condivisibili, mettono chi comunica e chi ascolta sullo stesso piano.
Ma cosa c’entra allora, tutta questa storia con il payoff da cui eravamo partiti? Guardate questo video e lo capirete. È la storia che c’è dietro un famoso “Keep Walking”. Cosa significava prima quella frase, quel payoff e cosa ricorderete ora, dopo aver visto il video?
https://www.youtube.com/watch?v=MnSIp76CvUI
il verde delle highlands, il gracchiare della cornamusa, la parlata croccante e ruvida con le vocali strette fra le labbra, il mio primo approccio con questa lingua che adoro, il mitico Robert Carlyle… mi spiace ma non posso rispondere a questa domanda, ora sto con il naso in su a ricordare la mia prima casa fuori casa ad Edinburgo…..
comunque, il video ha dei tempi pazzeschi, credo questo sia il fattore importante. E non molto esportabile sia come lingua (lock stock and … barrel! non e’ un idiomatico facile da capire tanto per dirne una) sia nello spirito tipicamente scottish. Se lo traducono in italiano non lo voglio vedere ;-P
ho visto il video, bellissimo ed efficacissimo.
ti racconto quello che mi ha trasmesso: mi sento indubbiamente messa a conoscenza di informazioni dell’azienda che sembrano quasi ‘private’, il modo di raccontare mi coinvolge proprio per questo. è come se robert carlyle parlasse proprio a me e attraverso il racconto del perché della forma quadrata della bottiglia, del perché dell’etichetta storta mi dicesse: ‘ehi tu, mi sembri sveglio, allora ti racconto alcuni segreti della nostra azienda’.
tutte informazioni che sicuramente mi fanno ricordare e memorizzare il marchio, e danno un’anima a una bottiglia di whiskey.
e in più c’è una storia dietro, e il fatto che me l’abbiano voluta raccontare li rende più vicini a me.
@Panz, è proprio quel “mi sento esattamente così”, quel “avrei voluto dirlo io” che intendo, quando una comunicazione fa “risuonare” le nostre corde. Vado a leggerti 🙂
@supermam, una forte risposta emotiva vero? perchè tu hai un sacco di “ganci”: il paesaggio, la lingua, tutto il contesto ti parla, oltre al messaggio in sè.
@itmom, grazie di tutti i tuoi spunti, verissimo, questo è quello che un brand dovrebbe cercare di fare anche online: raccontare, per te, la sua storia e quella delle sue persone.
da “addetta ai lavori” direi che è un grande video perchè porta in vita quel claim, keep walking, in un’esperienza sensoriale (la Scozia, la sua parlata, la sua terra) ed emotiva (il cammino delle idee, i traguardi, l’impegno e la passione che non si fermano mai).
e poi il dettaglio creativo ed “unexpected” degli oggetti che si materializzano lungo la via, con quei tempi perfetti che ti fanno sentire un’ammirazione infinita non solo per l’attore, ma per tutto il team che ha girato e montato il film. Il tutto, in un’idea semplice ma non banale: la cosa più difficile di tutte.
il dettaglio dei particolari che si materializzano quando carlyle li evoca e’ LA chiave di questo video secondo me, che poi traduce alla grande la definizione di Johnnie come uno “smart enough to be lucky” 🙂 ecco un bel payoff per la meritocrazia, ehehehe
é un dettaglio importante ma non confonderei l’idea con la sua esecuzione. La “big idea” creativa, che è la chiave, è: “vi raccontiamo la vera storia dell’uomo che ha camminato intorno al globo”. L’esecuzione creativa, con quel ritmo e quella visualizzazione molto originale, la rende ancora più accattivante. Per chiarire, se ci fosse qualcuno che camminando afferra o mostra cose ma comunica un messaggio irrilevante, non avrebbe su di noi lo stesso effetto. Mentre una storia potente raccontata anche in altro modo, con un’altra esecuzione (per esempio Pietro Barilla che immagina il suo grande futuro e poi conclude “per ora è un sogno. ma se c’è la passione, perchè non sognare?”) mi emoziona comunque.
Sempre calzante e appassionante, Flavia.
Che pay off ti daresti come persona? 🙂
Mi hai illuminata sul perché certe storie hanno successo. Dopo il payoff però deve esserci il mantenimento della promessa. Per tutti: siti, blog, aziende, persone.
Sempre brava. Mi hai anticipata su “Sogno” 😉
Bel post.
Lo story-telling e’ oggi un fattore chiave per costruire un brand o sviluppare un prodotto che risultino attraenti.