Conversazione, conoscenza e comprensione
E’ una settimana molto intensa qui in TTV.
Abbiamo iniziato con un incontro in Reckitt Benckiser, per il calcio d’inizio di un progetto di conversazione tra Mister Baby e alcune mamme molto smart. io e Giuliana ci divideremo poi per una docenza a Roma, al Master in Non-conventional Marketing, e un intervento alla prestigiosa Ca’Foscari Digital Week di Venezia.L’oggetto della mia docenza romana sara’: “il valore strategico della conversazione: la conoscenza”.
Accipicchia, piu’ che una presentazione a un master sembra un trattato di filosofia, ho pensato. E’ un bel pezzo che rifletto proprio su questo tema, per identificare e formalizzare i modelli di conversazione (offline e online) piu’ utili e produttivi. Ma oggi il libro che sto leggendo, arrivato proprio al capitolo 10 “il lavoro della conoscenza” mi offre uno spunto perfetto sulla dinamica di una conversazione. Eccolo (i grassetti sono miei):
“Partendo dalla nostra base di accordo, possiamo poi ribadire le nostre differenze. Per esempio, se non siamo tacitamente d’accordo sul fatto che lo zucchero e’ una sostanza commestibile, non possiamo poi discutere se sia vero che mangiare troppo zucchero rende i ragazzini iperattivi. Dove la base di accordo e’ piu’ controversa, gli osservatori esterni potrebbero pensare che un gruppo di persone che sono gia’ d’accordo fra loro si sono ritrovate per confermarsi vicendevolmente nelle loro convinzioni. Ma in questo modo veniamo a confondere la base della conversazione con la conversazione stessa. Quando discutiamo le differenze mantenendoci al contempo su una base condivisa, stiamo lavorando per raggiungere la comprensione.
La comprensione, e non la conoscenza, e’ cio’ a cui miriamo nella maggiorparte delle nostre conversazioni. (…) Dopo Socrate, i filosofi hanno avuto la tendenza a sedersi da soli in una stanza a scrivere le loro riflessioni sulla carta, ma la maggiorparte di noi pensa parlando con gli altri. Nel corso di una conversazione ci sono cose che conosciamo – o che presumiamo di conoscere – ma queste sono proprio le cose di cui non e’ interessante parlare. Nella conversazione noi pensiamo assieme ad alta voce, cercando di comprendere.
Il rumore che generiamo in questo modo e’ profondamente diverso da quello del pennino di un filosofo che gratta sulla carta. La carta conduce i pensieri alla nostra testa, il web rilascia i pensieri prima che siano pronti, cosiche possiamo lavorare assieme su di essi. E in tali conversazioni abbiamo modo di ascoltare diversi modi di interpretare il mondo, dato che le conversazioni prosperano sulla differenza di vedute. Tradizionalmente, la differenza e’ stata vista come un segno che la conoscenza non e’ stata ancora raggiunta (…) ma ci saranno sempre molteplici conversazioni e, quindi , molteplici interpretazioni. Non smetteremo mai di parlare gli uni con gli altri, ridotti al silenzio dalla singola, unificata, vera, inevitabile e definitiva conoscenza di tutto cio’ che e’.(…) La nostra conoscenza diventa tanto piu’ unitaria e incontestabile quanto meno e’ interessante. Dall’altra parte, la conversazione verte sempre intorno a cio’ che risulta abbastanza interessante da giustificare il tempo e il fiato che vi dedichiamo. Da essa emerge la comprensione, che puo’ essere vera e utile anche se non arriveremo mai a comprendere il mondo tutti nello stesso identico modo. “cio’ che e’ una debolezza nella conoscenza, e’ un punto di forza nella comprensione.”
Si tratta dell’ “Elogio del disordine”, di David Weinberger, e trovo questa sua spiegazione utilissima, un vero pilastro su cui costruire una teoria della conversazione efficace.
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