A cena con Badgeville

badgevillePremessa
Ho pubblicato questo post sul mio blog personale, ma e’ chiaro che la sua casa e’ questa. Percio’ lo ripropongo, con gli adattamenti del caso.
Altra premessa importante: io e Flavia non siamo del tutto d’accordo su alcune delle mie considerazioni. io le ripropongo tali e quali, puo’ essere un’occasione di dibattito.

Alcune sere fa io e alcuni altri blogger eravamo invitati a cena da Kettydo per conoscere Maarten De Zeeuw, Direttore Europa di Badgeville, di cui Kettydo e’ distributore per l’italia.

Badgeville e’ una piattaforma (white-label, quindi customizzabile dal singolo brand che ne fa uso) che introduce meccaniche di gioco nella normale attivita’ degli utenti dei siti, con dinamiche fortemente integrate ai social media. Quindi, a seconda dell attivita’ svolta, i membri della comunita’ riceveranno punti, badge, coupon, e cosivia, proprio come se fossero su Foursquare o su Miso o su un qualunque social network con una forte componente di gaming.

E infatti la novita’ di Badgeville e’ in questo, che potrebbe essere il nuovo trend social dopo la geolocalizzazione: la gamification. il presupposto e’ piu’ o meno: se l attivita’ in rete diventa in gioco, le persone risulteranno stimolate ad attuare certi comportamenti, e questi comportamenti saranno misurabili, perche’ non piu’ dispersi nel mare magno dei social network ma concentrati, per cosidire, in un unico hub, che potrebbe essere costituito dal sito del brand. Bello, dice. si bello, dal punto di vista del marketer, che finalmente potra’ dare i numeri con un po di senso (perche’ poi, gira che ti rigira, il punto e’ sempre lì: i numeri).

Io però ho fatto un altro pensiero, ed è quello che voglio condividere, più che un’analisi del fenomeno in sé (per il quale si trova in rete ricca documentazione).

Leggo nel sito gamification.it:

La gamification ha due obiettivi decisamente interessanti […].

Il primo è “stimolare un comportamento attivo e misurabile”. L’implementazione di meccaniche ludiche è uno dei metodi più efficienti per coinvolgere le persone nelle attività di un sito e di un servizio, ma anche per agevolare comportamenti offline. […]

Il comportamento dell’utenza è misurabile, raccogliendo i dati basati sulle azioni compiute all’interno del gioco. È perciò possibile effettuare una profilazione degli iscritti, permettendo di concentrarsi particolarmente sul target e/o cercando di espandere il potenziale bacino d’utenza.

Il secondo obiettivo della gamification (in realtà, per certi versi, presupposto del primo) è “guidare un interesse attivo verso il messaggio da comunicare”.

La gamification è dunque un mezzo per veicolare efficacemente le varie informazioni, focalizzando l’attenzione dell’utente verso la campagna di comunicazione ed il brand. Per esempio la gamification applicata ad un sito può valorizzare il messaggio, migliorare il coinvolgimento e raggiungere fasce demografiche differenti. […]
La domanda che mi sorge spontanea è la seguente: che differenza c’è tra questo e la raccolta punti di Ferrero o dell’Esselunga? Lasciamo stare che una cosa è on e una è off line. Tutti i meccanismi di loyalty si basano sull’attivazione dei clienti e sono finalizzati, oltre che alla fidelizzazione, alla misurabilità. Lasciamo stare anche, incidentalmente, che nella maggior parte dei casi tutti i dati rilevati da un programma di loyalty rappresentano solo un sottoinsieme dei fattori che incidono sulla vita di un brand, poiché gli altri atti d’acquisto – quelli di chi la carta fedeltà non ce l’ha, nel caso specifico – rappresentano una mole di dati troppo imponente per poter essere veramente utilizzata: in altre parole, anche se l’Esselunga sa che cosa compro ogni settimana, questa informazione non le serve a niente, oltre che a sapere che una volta l’anno mi regalo un gadget con i punti che ho accumulato.

E da questa domanda la successiva diventa: non è che siccome non abbiamo abbastanza fantasia stiamo riproponendo logiche tradizionali (nel senso di marketing tradizionale, quello delle 4 P) alla rete? Insomma, il problema oggi come oggi è, per le attività social, la misurazione. Non la misurabilità, che sarebbe anche possibile, semplicemente adottando KPI diversi da quelli tradizionali; bensì la misurazione in sé, poiché il difficile è far digerire ai marketer suddetti che i numeri danno un’idea parziale di quello che succede veramente al brand quando va in rete, tra le persone, nel mondo.

Badgeville sfrutta molte delle potenzialità espresse dalle dinamiche della rete, e questo è un bene, perché vuol dire che nella rete “ci sta dentro”, e anche alla grande. Però la finalità in sé non mi sembra veramente innovativa, non ai fini del marketing e di una cultura del marketing che fa fatica a liberarsi delle zavorre degli ultimi, diciamo, trent’anni. Se vogliamo andare verso una relazione con il consumatore ho dei dubbi che la strada possa essere questa: avrò consumatori fidelizzati al gioco più che al prodotto, a meno che io non sia veramente bravo e riempia il gioco (di cui prima o poi la gente si stuferà, come si è stufato di Farmville) di contenuti effettivamente utili alle persone. Utili alle persone, non ai consumatori, né al brand.

Ecco, queste sono solo considerazioni. Che mi vengono così, da marketer mio malgrado e umanista di formazione. Proporrò sicuramente Badgeville ai miei clienti, e ci giocherò, anche. Ma continuerò a cercare il modo di andare davvero in una direzione che possa essere fedele alle persone che stanno in rete più e prima che ai miei colleghi marketer.

7 commenti
  1. M di MS
    M di MS dice:

    In teoria l’Esselunga dovrebbe usare il tuo profilo per farti proposte mirate, che poi in effetti non ti fa. Badgeville potrebbe fare altrettanto.
    Sì, non è molto innovativo rispetto al marketing tradizionale. Prevedo un successo, ma le conversazioni sono un’altra roba…e servono ad altro!

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  2. Giuliana
    Giuliana dice:

    attenzione, Badgeville non si propone di fare (o provocare) conversazione, ma di offrire gioco. quindi è più simile all’esselunga che fa la raccolta delle figurine (ma anche voi siete dentro a questo tunnel? io sì!) che all’esselunga che propone offerte personalizzate – le quali, appunto, non sono fattibili perché le informazioni di cui è in possesso sono troppe.

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  3. Flavia Rubino
    Flavia Rubino dice:

    Non è che siamo completamente in disaccordo, anzi.. credo anch’io che le logiche del marketing tradizionale non vadano riproposte solo con nomi e vesti nuove. lnoltre se il rapporto con un brand è basato solo sul gioco, la fedeltà è molto effimera. Rifletto pero’ sul ruolo del gioco e del FUN come incentivo: quando un messaggio viene reso divertente, diventa (puo’ diventare) anche più interessante. Credo che il gioco sia un bisogno umano importante e non secondario, come comunicare, e la mia tesi/proposta sarebbe questa: e se le motivazioni di tipo ludico (che restano un aspetto fondamentale dell’animo umano) fossero applicate a fini – e anche a conversazioni, perchè no – socialmente utili? esperimento mentale: se un comitato che promuove i referendum invogliasse chi va a votare con una megalotteria nazionale?…! per partecipare, ci sarebbe piu’ gente che si informa sui referendum almeno a un livello base. lo so, mi direte che una cosa è capire davvero e una cosa è giocare, ma…. ci sono sempre dei ma. non ci sono solo laureati con master che possono/devono contribuire a delle cause, per es. i numeri di lottomatica sul gratta e vinci sono impressionanti… quindi: che ci facciamo con questa base spaventosa di utenti motivata dai giochi?

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  4. M di MS
    M di MS dice:

    Osservazione interessante, ma poi va modulata eticamente…Il gaming trascina con sè necessariamente un significato di futilità, quindi l’accoppiata deve essere ben studiata. Ma non impossibile, anzi.

    Rispondi

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