Fare Marketing rimanendo brave persone? Si può. Intervista a Giuseppe Morici, President Barilla Europa – (1a puntata)
Leggendo “Fare Marketing rimanendo brave persone†ho pensato che l’espressione tipicamente anni ’80-’90, alla Madison Avenue, di “uomini di marketing†vada finalmente superata da un nuovo, gentile quanto rivoluzionario “galantuomini – e gentildonne, si intende – di marketingâ€.
Una figura che Giuseppe Morici incarna perfettamente.
Ho incrociato Giuseppe all’inizio della mia carriera, quasi vent’anni fa in Procter & Gamble. Constatare dopo tanti anni e tanti percorsi diversi come le nostre riflessioni su questo lavoro finiscano per convergere, è una cosa che mi ha scaldato il cuore.
La mia promozione del suo libro è quindi totalmente spontanea e disinteressata: credo che chiunque non si accontenti degli “Insight di Facebook†e voglia sapere cos’è il marketing nella sua essenza, debba leggerlo. Soprattutto oggi, con stuoli di Social Media Manager pronti a fare a pezzi, con un’arroganza che non si ferma neanche a riflettere un attimo, le sue migliori fondamenta. The Talking Village ha avuto la fortuna di intervistare Giuseppe (i grassetti sono miei).
Innanzitutto una domanda frutto di pura invidia personale: con la tua posizione in Barilla, quando hai trovato il tempo di scrivere questo libro?
G.M: Questa è la prima domanda che mi fanno tutti! Hai presente quando perdi un aereo e rimani 4 ore in aeroporto o quando non lo perdi e voli per due ore e non ti va di leggere? Oppure i viaggi in treno? O i weekend piovosi mentre i figli fanno i compiti? Certamente anche qualche serata e qualche week-end. Ma persino qualche riunione noiosa. La vita è piena di interstizi. Basta decidere come riempirli!
Ci racconti molto bene il concetto di narrazione emotiva e radicamento profondo delle marche. In sintesi, affermi che una comunicazione che parli solo al cervello razionale non genera una vera relazione e non basta a creare brand duraturi. Ma a mio avviso esiste un’ampia fetta di addetti ai lavori, soprattuto nelle agenzie, che getta la spugna: innumerevoli volte ho sentito dire “con questo prodotto, non puoi essere emozionaleâ€. “In fondo vendi bulloni, detersivi, bottoni (..e così via)â€
Cosa ne pensi?
G.M. Non esistono prodotti banali. Esistono solo creatività banali. Basta guardare la pubblicità di P&G per le olimpiadi di Londra “Proud sponsor of mums†per capire che non importa quanto banale sia il prodotto che vendi.
(avevamo parlato di sense making proprio con l’esempio di quello spot su Talking Village, N.d.r.)
Quel che conta è che ruolo gioca quel prodotto nella vita delle persone e spesso quel ruolo non è così banale come lo immaginiamo. Un detersivo per il bucato può esser visto come una formula chimica che entra dentro le fibre per rimuovere le macchie di grasso o come lo strumento attraverso cui una mamma brasiliana si prende cura del bucato di suo figlio mentre per 15 anni si allena. E quando alla fine lui vince le olimpiadi di pallavolo, la mamma sugli spalti piange a dirotto. Mentre racconto per la centesima volta questo spot – e arrivo così alla tua domanda sulla narrazione - per la centesima volta mi commuovo! Come i miei figli si spaventavano tutte e cento le volte che vedevamo la strega cattiva dare la mela rossa a Biancaneve.
L’uomo si distingue dagli altri animali per due cose: il pollice opponibile e l’istinto della narrazione.
Noi possiamo ostinarci a considerare la razionalità , la logica come gli elementi predominanti e caratterizzanti del nostro essere homo sapiens sapiens ma non è vero. Sono le emozioni che guidano il mondo, non le convinzioni. La corteccia cerebrale, sede della razionalità , si è aggiunta alle altre parti del cervello umano che esistevano prima, quella emotiva e quella istintuale. Non le ha sostituite! Noi non siamo diventati “altro†rispetto alle scimmie: siamo diventati “anche altroâ€!
Si può vendere un prodotto con la logica ma non si può costruire una marca, cioè una relazione di lungo periodo, senza emozioni, senza un racconto, senza una grande universale narrazione. Radicare significa poggiare il racconto di marca su un insight umano universale e profondo e richiede di lavorare su tre dimensioni (non solo su due come nel “posizionare†un prodotto) oppure su quattro, se aggiungiamo anche il tempo!
L’intervista, densa e interessante, continua ancora… seguite le prossime puntate!
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