I più comuni pregiudizi sul Marketing – 1. La pubblicità ingannevole
Nel mio confronto quotidiano con i social network, non posso fare a meno di notare quanto pregiudizio ci sia verso il marketing e la pubblicità, reazioni di pura “pancia”, prive di qualsiasi base razionale.
A parte il fatto che il Marketing NON è la pubblicità (cioè non si esaurisce in essa), ma questo è un altro discorso, si tratta una materia che attira molti haters, con alcuni dei quali una qualsiasi discussione sarebbe del tutto inutile. Per fortuna, in altri casi, è possibile un dialogo per sfatare alcuni miti.
Perché molti odiano la pubblicità? Dove risiede questa avversione ideologica?
Provo a fare una lista delle più comuni lamentele.
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La pubblicità è persuasione, e la persuasione è una cosa cattiva
Ricordate l’arte della Retorica che abbiamo superficialmente studiato a scuola (nel migliore dei casi)? Siamo rimasti influenzati dal giudizio negativo che la storia ha dato dei Sofisti, con il contributo di Platone, che oggi estendiamo per esempio alla categoria degli avvocati: squali in grado di sostenere e argomentare qualsiasi tesi, anche la più lontana dalla verità.
Platone criticò i sofisti per aver usato la Retorica non come un mezzo per scoprire la verità, ma come un “mezzo per ingannare le masse ignoranti”, esattamente quello che si pensa dei pubblicitari quando li si definisce persuasori occulti. (Con buona pace anche dei tanti avvocati onesti)
Il cattivo uso di uno strumento di comunicazione non dovrebbe farci concludere che la comunicazione stessa è il male. E i sofisti non esaurirono certo la Retorica, che è una disciplina affascinante alla base della nostra cultura, delle tecniche teatrali e narrative più emozionanti, a cui la più bella pubblicità che vediamo deve tutta la sua efficacia. Solo per citare alcune tecniche creative insegnate dalla retorica: combinare elementi inaspettati per creare significati originali, invertire le conclusioni attese sorprendendo il pubblico, agganciare l’attenzione usando le emozioni basilari come la paura, la rabbia, la gioia, l’amore. Spesso si leggono nel web analisi puntuali dei messaggi “subliminali” di alcune pubblicità, come se queste fossero frutto di tecniche magiche e diaboliche, con tanto di ardite interpretazioni di segni e simboli nascosti: personalmente lo trovo un esercizio al limite del ridicolo (il commentatore, ovviamente, si sta ergendo al di sopra delle “masse ignoranti” per illuminarle). I segni e i simboli delle pubblicità che funzionano davvero devono essere lampanti, non nascosti!
Una lettura illuminante su questi argomenti, che non ha niente eppure ha TUTTO a che fare con il marketing e il digital, con la bellezza del discorso quando suscita emozione e consenso: eccola. Ha solo 2000 anni.
Cicerone – L’arte di comunicare, antologia di scritti abilmente tradotti da Paolo Marsich, bravissimo nel renderli attuali, anzi senza tempo.
Non c’è nulla di più nobile che riuscire a catturare l’attenzione delle persone con la parola.
Io non credo che tra duemila anni le moderne tecnologie saranno state in grado di consegnare ai posteri parole così immortali. Avranno prodotto di certo volumi di dati che sono miliardi di miliardi di miliardi di… volte quelli arrivati fino a noi dagli antichi, ma saranno stati infinitamente meno memorabili. Sarà forse ripubblicato da qualcuno uno dei nostri tanti manualetti di strategia digitale?
Pensare bene, parlare bene, e agire bene sono cose inestricabilmente collegate. Questa è la lezione di Cicerone. E non “bene” solo in senso estetico (benchè forma e contenuto siano a loro volta indissolubili: una volta tanti anni fa ho litigato online su questo punto con una persona che sosteneva una causa meritevole ma lo faceva con modi violenti e sosteneva che eravamo dei cretini che si fermavano alle apparenze) – BENE nel senso della coerenza profonda delle tre le cose. C’è chi non sa articolare in frasi cosa pensa o capire cosa legge, chi invece dice benissimo e usa meravigliosamente la parola ma sta solo manipolando e abbellendo pensieri marci che infatti poi verranno fuori dalle sue azioni, c’è chi ha idee belle e le scrive bene e però poi non le sa tradurre in azione. Sta tutto qui: per una persona come per un’azienda.
E quest’ultimo monito poi, sembra proprio diretto ai social media manager.
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